Dal marzo dello scorso anno assistiamo a restrizioni e limitazioni delle libertà o, di contro, a riaperture che non tenevano minimamente conto delle particolarità della nostra terra e che stanno creando danni incalcolabili alla già provata economia sarda.

Un governo che decide di continuare a tenere aperte le grandi aziende del nord Italia mettendo a rischio la vita di decine di migliaia di lavoratori che ogni giorno viaggiano e lavorano senza vedere garantite le norme minime di sicurezza, ma al contempo decide di chiudere le piccole attività della nostra terra che quelle norme di sicurezza potrebbero garantirle, sta mostrando quali sono i veri centri decisionali e quali sono gli interessi che ha deciso di tutelare.

Altresì è innegabile che i parametri applicati hanno creato solo contraddizioni, frustrazione e malcontento proprio perché si crede, ancora oggi e dopo un anno di pandemia, di dover gestire in egual modo un qualsiasi paese della Sardegna pressoché a contagi zero, come una grande metropoli lombarda.

Come è stato possibile pensare di applicare le stesse regole, coprifuoco compreso, ad una regione che conta circa la metà della popolazione di Roma in un territorio ventimila volte più esteso?

Come è possibile equiparare un’azienda che impiega migliaia di dipendenti o un centro della grande distribuzione che ospita centinaia di persone al giorno ad un negozio della Sardegna che conta al giorno poche decine di clienti?

A fare sponda al totale disinteresse dello Stato italiano alle esigenze della Sardegna c’è poi la gestione scellerata attuata dalla giunta regionale, la quale ha soddisfatto gli interessi delle proprie clientele trascurando e ignorando le istanze del suo popolo. Quello che affermiamo è stato dimostrato quando Solinas ha permesso il via libera alle aperture delle discoteche che hanno dato il via all’ondata post estiva nel 2020. Quando ha permesso a chiunque, anche provenienti da zone con altissimi numeri di contagio, di poter venire in Sardegna nelle vacanze natalizie e pasquali con una meccanismo di controllo in entrata pressoché inesistente o inefficace. Quando, davanti alla gestione scandalosa della rete sanitaria, ivi compresa la devastante organizzazione delle vaccinazioni, non ha ritenuto di dover proferire verbo.

Quello che è successo in quest’ultimo anno non può certo essere addebitato solo all’incapacità e all’impreparazione di questa classe dirigente, di cui certo non difetta, ma crediamo che le responsabilità siano da attribuire anche alle passate giunte. Le scelte politiche, che hanno fatto sì che i poteri derivanti dall’essere regione autonoma fossero quasi del tutto svenduti e nei fatti depotenziati e resi quasi inservibili ed inutilizzabili, non sono certo ascrivibili alla sola giunta Solinas.

Gli accordi degli ultimi anni, a volte palesi, a volte un po’ più nascosti tra le pieghe della burocrazia, hanno dato un ulteriore giro di vite alle imposizioni coloniali dello Stato italiano, sono ormai prassi costante per qualsiasi governo si alterni in regione, e non hanno fatto altro che intaccare pesantemente la nostra autonomia.

Ma la cattiva gestione della nostra autonomia da parte delle giunte regionali non deve farci credere che il problema siano le prerogative autonomistiche, ma piuttosto il loro scarso utilizzo, la loro sottomissione agli interessi partitici che legano le giunte alle consorterie romane. E quanto più gli interessi sardi vengono piegati da una giunta agli interessi esterni, tanto più quegli interessi non saranno a favore di noi Sardi.

Non è dunque l’autodecisione il problema, ma la rinuncia all’autodecisione di chi delega ai propri referenti d’oltremare il diritto di gestire la nostra terra.

Nei fatti questa pandemia ha reso ancora più evidente che per risollevare le sorti della Sardegna abbiamo bisogno di una classe politica che sappia ribaltare il tavolo del confronto con lo Stato italiano, mettendo come primo punto nella sua agenda il superamento della fase autonomistica per acquisire sempre più poteri, al fine di abbattere i problemi strutturali che attanagliano la Sardegna e che in fasi storiche come questa si mostrano in tutta la loro drammaticità.

È indispensabile, urgente, improcrastinabile chiedere con forza che la gestione della pandemia in Sardegna sia delegata a livello regionale e comunale.

La Sardegna è fatta di piccoli comuni e di piccoli focolai che i nostri sindaci hanno già dimostrato di saper gestire nel migliori modi, attraverso piccole e circoscritte chiusure e il monitoraggio accurato dei contagi dei propri cittadini. In questo modo, anziché con chiusure generalizzate, si riuscirebbe a colpire la diffusione lì dove si presenta, tenendo un basso livello di contagi e quindi anche di ricoveri e decessi.

La gestione locale inevitabilmente dovrà accompagnarsi ad una gestione degli ingressi in Sardegna, da parte della Regione, con controlli molto più rigidi in entrata, pretendendo che ogni singola persona faccia veramente il tampone (effettuato nel porto e/o aeroporto di partenza e poi anche in quello di arrivo), con una seria regolamentazione degli accessi senza periodi di “liberi tutti” e senza zone di accesso incontrollate come già visto troppo spesso.

Ribadiamo inoltre la necessità di agire immediatamente sul potenziamento della sanità pubblica anziché di quella privata, con disposizioni che mettano al centro la garanzia dell’accesso alle cure al popolo sardo, garantendo un piano vaccinale che permetta a chiunque voglia farlo di vaccinarsi, in tempi e modi certi.

Siamo, allo stesso tempo, consci che solo con la pressione e la presa di coscienza popolare si possa mettere alle strette questa giunta, pretendendo il rispetto dei nostri diritti come singoli e come popolo, in primis quello alla salute e all’accesso alle migliori cure possibili, come quello a un lavoro dignitoso.

È proprio in momenti storici come questi che maturano i cambi epocali e noi tutti, come popolo, non possiamo sottrarci a questo compito per quanto difficile possa essere.

Liberu – Lìberos Rispetados Uguales